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Fermo: il “GradoZero” di Spazio Betti

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di Danilo Monterubbianesi

fermo@vivere.it


Nella linearità che la matematica ci regala, elevare alla zero ciò che zero non è lo trasforma in uno; un punto di partenza, un primo passo, un respiro, uno schiocco di dita. “Uno” evoca l’istantaneo, il nuovo, la singolarità, e sono tre singolarità quelle che si annidano tra le sale dello Spazio Betti, tra loro coinvolte in un dialogo pudico: esprimersi senza esondare, confrontarsi senza invadersi. Lo spazio polifunzionale sito in Largo Carlo Mora 11 ospita dall’8 al 15, e poi dal 21 al 27 settembre, tre mostre in una mostra: “Grado Zero” infatti, curata dalla mano di Martina Pappalardo, ospita i lavori di Cristina Céstòla, Eleonora Cutini e del duo ME(A)LS, in un percorso che trascina e ispira.

Raccontare uno spazio

«Spazio Betti, in particolare da marzo, ha avuto come obiettivo quello di dare spazio ai giovani, soprattutto a livello di arti e spettacolo» dice Giada Piattoni, curatrice del progetto grafico per la mostra e tutte le iniziative della realtà; «ora siamo arrivati alla fine del suo percorso in questa forma qui, come lo vediamo – per l’inizio dei lavori di riqualificazione dell’intera ex scuola ndr – quindi partirà anche lui da un “grado zero”», lasciando così la promessa di continuare a realizzare eventi, attività e laboratori in un altro spazio, ma come solo lo Spazio in questi anni ha saputo fare.

Parlando ancora di spazio, è stato proprio su questo che si è giocata una componente importante del lavoro espositivo, come ha spiegato la curatrice Martina Pappalardo: «siamo di fronte ad un’ex scuola, un luogo connotato, che ha una sua memoria e i suoi ricordi; le pareti quindi non solo quelle classiche di un normale spazio espositivo, bianche, quasi asettiche, che trasmettono quella sorta di distanza tra il pubblico e le opere». La difficoltà nella disposizione, nel trovare le giuste angolazioni, i giusti contrasti, si è trasformata quindi nell’opportunità di trasportare l’anima degli artisti tra pareti calde, accoglienti; un luogo familiare che potesse aprire le braccia alle loro confidenze ed essere terreno fertile per le loro fantasie.

La mostra – le tre mostre

«Scrivo per non dipingere» è una delle prime frasi in cui ci si imbatte osservando le opere e la ricerca di Cristina Cèstòla, che infatti non dipinge, bensì disegna, incide, scatta, scrive. Il tratto, nella sua rapidità, impulsività e spesso irruenza, è protagonista assoluto: schizzi di un immaginario ben definito in cui si affastellano elementi cavallereschi e paesaggistici, parte della sua vita e dei suoi ricordi. Il lavoro testuale, sotto forma di frasi, aforismi, che qua e là si ricavano uno spazio fra le linee incise delle opere, non sono corredo, bensì fondamento, indirizzo dell’atmosfera suscitata dai lavori. Sono riflessioni sul tempo che corre, avanza con noi e attraverso noi, lasciando il gusto amaro della nostalgia, o quello aspro dell’inadeguatezza, dell’inettitudine nei confronti di quello che avremmo potuto fare, ma che non abbiamo fatto – «Ho sempre l’impressione di arrivare a tempo scaduto;/quando non è più come una volta».

Lavoro antropologico, nel buio della notte, nell’enigma che si cela dietro al sogno, quello dell’artista Eleonora Cutini: nella dipartita tra luci e ombre, in un’atmosfera intima, lasciati soli con noi stessi, si hanno davanti paesaggi onirici, dallo sfondo scuro, uniforme, in cui il candore del tratto, così poco marcato, evanescente, crea un effetto fumoso, indefinito. Avvicinarsi o allontanarsi vuol dire dar vita a differenti forme dell’opera, a nuove suggestioni da analizzare, o affrontare. Tutto sta nel capire il mondo che si manifesta in noi appena chiudiamo le palpebre: scenari vaghi, senza contorni e senza soluzione di continuità, che, una volta svegli, svaniscono per sempre, spesso anche dalla nostra memoria, lasciando quella nebbia che l’artista fossilizza sulla tela. Rilevanti anche le titolazioni: pretesti, stimoli che consentono di estendere la strada dell’onirico verso nuovi lidi – la natura, il sacro, il magico – e proseguire un’indagine sull’essere umano che deve andare al di là del semplice giudizio all’opera.

Un video sfocato e suoni che lasciano poco spazio all’ambiguità appena entrati, poi si iniziano a distinguere altri versi, altre forme, come quelle delle api e del loro ronzio. “Peeping Tom”, l’opera del duo artistico formato da Elena Manfrè e Lorenzo Sbroiavacca, ME(A)LS, richiama la leggenda di Lady Godiva (Lady Godiva - Wikipedia), e quindi il mondo del voyeurismo, dei guardoni, che entrano nell’intimità di qualcuno senza davvero entrarci, ma fermandosi sulla soglia, sul confine della partecipazione, e compiacendosi solo nell’osservare e immaginare. L’opera realizzata consiste nel filmato di un rapporto erotico, ripreso a sua volta da brevissima distanza, non consentendo così la messa a fuoco delle immagini, o rendendola una scelta esclusiva del dispositivo. La riflessione quindi tra uomo e macchina, tra sessualità e tecnologia, si intreccia poi con il tema generale della natura, grazie alle “interferenze” a livello di suono e video portate dall’osservazione degli insetti, in uno spazio asettico, quasi laboratoriale. L’idea del voyeur, del fantasticare che supera l’agire, del preferire la realtà senza contorni dell’immagine sfocata, su cui proiettare le proprie perversioni, si affianca alla nostra percezione della sessualità, del trasporto e del pudore che proviamo nell’eros fra persone, e dello sguardo freddo, quasi scientifico, nell’analisi dello stesso atto nel regno degli insetti.

Orari

La mostra sarà visitabile nei giorni tra l’8 e il 15 settembre e tra il 21 e il 27 settembre 2023 dal lunedì al sabato dalle 10.00 - 19.00.










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