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When the Mountains dance. I Monti che danzano. I Sibillini


La Toomey possiede un'abitazione ad Amandola. Ha risentito del sisma. Ecco, perché ne scrive ed ecco perché evoca i monti Sibillini.
26 capitoli, il suo libro; 260 pagine; un editore: Weidenfeld & Nicolson. E alcune citazioni come fili conduttori: da C. S. Lewis: «La vita umana è sempre stata vissuta sull'orlo di un precipizio»; da Erri de Luca: «Si abita un suolo chiamato per errore terraferma». Il dramma, cioè, è sempre accanto a noi. Dobbiamo farci i conti. Non siamo Prometeo. Ma neppure gli sconfitti per sempre. La vita è comunque un confronto, a volte uno scontro. Ma c'è qualcosa di più che spinge sempre a ricominciare. Sembra di udire Pavese nel suo “Il mestiere di vivere”: «L'unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante». A volte è terribile, disperato, a volte faticoso. Ma la vita va vissuta sempre e fino in fondo.
“When the Mountains Dance”, è stato scritto «è un viaggio attraverso lo spazio e il tempo nel cuore di una comunità lacerata dai terremoti in Italia, passato e presente. Esplora i modi in cui, di fronte all'incertezza, creiamo nicchie protettive per noi stessi - fisiche, emotive, a volte fantasiose - e come troviamo il coraggio di andare avanti e ricostruire». Un libro positivo, arioso, con riferimenti culturali alti. Porta la nostra montagna nel mondo. E con una coincidenza non casuale. La casa amandolese di Christine apparteneva ad un vecchio sacerdote: don Federico Bellesi. Abbandonata da un secolo, nel corso della ristrutturazione la nostra giornalista-scrittrice s'imbatte in alcuni cimeli: due dipinti ad olio, alcune lettere e – qui sta la coincidenza non casuale - una mappa che fanno riferimento a una serie di devastanti terremoti in Sicilia all'inizio del secolo scorso. «Anche don Federico, in modo diverso, era diventato un detective dei terremoti?». Dal dramma del sisma, da quel ballare della montagna, da quei territori piegati ma non vinti, Christine cambia lo sguardo. Anche delle cose e delle persone a lei più vicine. L'ho incontrato sei anni fa. A Rubbiano di Montefortino. Fu attenta uditrici di una narrazione teatrale che partiva da Leopadi, toccava Marguerite Yourcenar, terminava con Alessandro D'Avenia. «Ed io che sono? si chiedeva il giovane Leopardi. Io che sono? Che è della vita? Delle nostre cose? Dov’è la nostra consistenza? Dove poggia? La macchina è in moto. Si lasciano i monti, le alte colline. Le comunità si polverizzano. I borghi secolari diventano fantasmi muti. La nostra storia è come cancellata. Entriamo nel dopo-storia. Ai vecchi manca il focolare, ai giovani il campetto, alle famiglie la casa, la scuola, le chiese...». E la Yourcenar in Memorie di Adriano raccontava: «Pochi mesi dopo la grande crisi, ebbi la gioia di veder formarsi nuovamente la fila delle carovane in riva all’Oronte; le oasi si ripopolavano di mercanti che commentavano le notizie alla luce dei bivacchi, e che ogni mattina, insieme alle loro merci, starei per dire caricavano, per trasportarle in paesi sconosciuti, parole, pensieri, costumi intimamente nostri, che a poco a poco avrebbero dilagato nel mondo in modo più sicuro che non le legioni in marcia. La circolazione dell’oro, il passaggio delle idee, sottile come quello del sangue nelle arterie, riprendeva nel grande corpo del mondo: ricominciava a battere il polso della terra». Si rinasceva. Si rinasce. Si riprende a vivere, quando si ama, fa capire Christine.
«Solo l’amore – ha scritto D'Avenia - ci consente di affrontare lo scandalo della fragilità del nostro essere, un amore che non dovrebbe venire mai meno nonostante le nostre insufficienze…».
Christin Toomey ha continuato ad amare e abitare queste montagne che «ballano».

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