Bioluminescenza marina in fotografia: il progetto di Cecilia Del Gatto conquista “The Light Observer” e il Macro di Roma

5' di lettura 22/09/2021 - Umi Hotaru è il nome del lavoro che è balzato agli occhi di "The Light Observer" e sarà presentato giovedì 23 al Macro di Roma. Firmato Cecilia Del Gatto, prende il via da una lettera originale dell'anno 1944 scritta dalla famiglia di un soldato nipponico al fronte: la luce delle lucciole (umi hotaru in lingua giapponese) era usata negli anni della Seconda Guerra Mondiale per poter leggere dispacci riservatissimi.

Il progetto di Cecilia Del Gatto, giovane fotografa e artista visiva marchigiana, diplomata a giugno con una tesi di pura sperimentazione, che ha smosso l’interesse dei docenti dell’Accademia di Brera, Linda Fregni Nagler e Davide Tranchina, i quali hanno supportato il progetto sin dalla sua prima presentazione.

La bioluminescenza è un tema poco trattato in fotografia, eppure l’interesse di Del Gatto è sbocciato in modo dirompente, e con l’entusiasmo della ricerca è riuscita a trovare un focus sull’uso della bioluminescenza in camera oscura: gli umi hotaru, appunto, le lucciole marine in grado di produrre chimicamente una luce blu e con un coefficiente di luminosità tale da poter imprimere un foglio fotosensibile in camera oscura.

“L’interesse è nato dalla volontà di usare la bioluminescenza marina come fonte primaria di luce – racconta Del Gatto. Attraverso ricerche ho trovato queste lucciole marine che sono in grado di emettere luce anche da essiccate”. Si tratta di un crostaceo di 3 mm facente parte della specie degli Ostracoda, la Cypridina Hilgendorfii, che vive prevalentemente nell’Oceano Indiano. Dopo averne analizzato la chimica e la diffusione nell’ecosistema, il lavoro si concentra su un particolare uso del crostaceo essiccato, che risale all’epoca della Seconda Guerra Mondiale.

Durante le operazioni belliche degli anni ’40 l’ostracoda serviva per illuminare lettere personali e informazioni di servizio riservatissime. La fredda luce blu bioluminescente, impossibile da rilevare anche a poca distanza, rappresentava una fonte luminosa ideale per poter leggere mappe e dispacci militari in totale sicurezza.

Negli anni del conflitto venne dato ordine di raccogliere ed essiccare un’enorme quantità di lucciole marine da inviare al fronte in appositi barattoli di latta. I soldati venivano dotati nel loro equipaggiamento di fialette contenenti ostracodi (Cypridina Hilgendorfii) essiccati; ogni volta che avevano necessità di leggere mappe nell’oscurità realizzavano sul palmo della mano una mistura di polvere di umi hotaru e saliva che in pochi secondi riattivava la bioluminescenza e rendeva la mano luminosa di un turchese acceso. L’obiettivo dell’esercito nipponico era quello di poter ottenere una illuminazione portatile in sostituzione di lampade o torce visibili dal nemico.

La luce rifletteva sulle trame delle mappe consentendone la decifrazione soltanto a distanza ravvicinata. In assenza di umidità, le lucciole marine, una volta essiccate, hanno la capacità di mantenersi anche per cento anni. Seppure la totale segretezza di questa operazione militare abbia decretato la perdita di conoscenza di quest’organismo luminoso nel suo utilizzo, la ricerca di Del Gatto è riuscita a portare la luce (blu) da micro a macro. Per la realizzazione del lavoro in camera oscura l’artista ha importato dal Giappone una discreta quantità di Ostracoda, nonché una lettera autentica scritta a mano nel 1944 da utilizzare come soggetto della sperimentazione.

“Premetto che è stato molto difficile entrare in possesso delle lucciole marine essiccate – racconta con emozione palpabile – e quando mi sono arrivate è stato un misto di emozioni, è stato il momento in cui ho realizzato che il progetto avrebbe potuto realizzarsi”. Così una notte, vinta la paura del non saper trattare il microscopico e prezioso prodotto, è iniziata la sperimentazione: “ho preso un esemplare, l’ho appoggiato sul palmo della mano e con una siringa ci ho versato dell’acqua sopra, il risultato è stato stupefacente, in pochi secondi la mia mano brillava di una luce blu intensa”. Non ci sono istruzioni per l’uso, soprattutto in fotografia, per cui il lavoro si è inizialmente basato sui resoconti di alcuni biologi marini esperti di bioluminescenza.

Grazie alle lucciole e al loro meraviglioso potere, le parole della lettera originale indirizzata al soldato nipponico sono venute alla luce, letteralmente, svelando il contenuto del messaggio. In quel momento di sperimentazione e di prove, il tempo ha fatto un salto indietro ed è stato subito il 1944, così come la camera oscura nello studio d’artista è diventata subito il Giappone. Cosa ci sia scritto nella lettera del soldato giapponese ora si può scoprire, a patto che si sia disposti a violare quel privato segreto nascosto per anni agli occhi di tutti, sotto una flebile luce blu che scopriva intimamente le parole solo a due persone: l’apprensiva famiglia e il destinatario scomparso di cui non si conosce il nome.

L’affascinante storia privata si mischia ad un lavoro sperimentale di tipo laboratoriale del tutto innovativo. Sin dagli albori della fotografia sappiamo che alla base del procedimento fotografico ci sono sempre la fonte luminosa e un materiale impressionabile; in questo caso l’innovazione ricercata sboccia attraverso la bioluminescenza di una specie animale mai presa in considerazione fino ad ora in campo visivo come unica ed esclusiva sorgente luminosa

Emozionale quanto lungo e difficoltoso, il progetto si è avvalso del contributo d tante persone, sia per reperire il materiale d’archivio che per le traduzioni linguistiche. “Fondamentali sono stati Dominik Zorvan e Yue Zhang che mi hanno fatto entrare materialmente in possesso degli ostracodi e hanno tradotto per me dal giapponese all’inglese le lettere e i documenti della ricerca; importante è stato anche l’apporto per la traduzione di Akanuma Megumi, Chiara Pasqualini, Nicole Egger, Valeria Del Gatto ed Emilio Annoni.
Federica Lippi, l’ufficiale Gaetano La Terza, Francesca Prato, Kazuko Yoshida mi hanno aiutato a trovare la strada per reperire il materiale d’archivio”.

Il progetto ha suscitato l’interesse della rivista “The Light observer”, che in occasione della promozione del numero “The water issue” organizza la presentazione di Umi Hotaru al Museo Macro di Roma il 23 settembre.


di Marina Mannucci
redazione@viverefermo.it







Questo è un articolo pubblicato il 22-09-2021 alle 11:33 sul giornale del 23 settembre 2021 - 373 letture

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