Monte Urano, da homebrewer a mastro birraio: Christian e il birrificio artigianale tutto suo

3' di lettura 19/11/2020 - Dall’homebrewing all’apertura di un birrificio artigianale: quella che sto per raccontarvi è la storia di una passione che “fermenta” da oltre dieci anni.

Christian Barchetta era un homebrewer, uno di quelli che la birra se la faceva in casa, con i kit che si trovano in commercio. A regalargli il primo fu suo cugino. Era il 2010. Quel preparato industriale, però, di lì a poco, verrà abbandonato, per passare, nel 2012, all’utilizzo delle materie prime: il metodo “All grain”. Il che vuol dire accurata selezione di malti, luppoli e lieviti e una creazione di vere e proprie ricette personalizzate. Un impianto semi professionale da 100 litri, tre anni di esperienza, i primi concorsi per homebrewers composti da giurie di sommelier e le prime vittorie. Nel 2017 si piazza tredicesimo su oltre cento partecipanti al Campionato Italiano composto da 8 tappe in tutta Italia. L’anno dopo ci riprova e arriva tra i primi cinque classificandosi quarto. Tra un concorso e l’altro, la specializzazione: un corso spalmato su tre livelli che fa di Christian un sommelier della birra.

Oggi, quell’hobby, coltivato nel tempo, per lui, 37 anni, metalmeccanico da venti, è diventato un lavoro. Ha mollato tutto, ha fatto il grande passo aprendo, quest’anno, un birrificio nella sua Monte Urano, praticamente sotto casa.

Io l’ho chiamato lavoro, Christian mi corregge subito. E lo fa facendomi notare una scritta, sulla parete del birrificio: “Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita”. Ha detto tutto.

L’apertura del suo “Styles”, causa Covid, da febbraio è slittata a giugno. Un impianto da 500 litri con quattro fermentatori da 1000 litri e le prime birre iniziano a uscire. L’artigianalità - mi faccio spiegare da Christian - risiede in questo: nella lavorazione e nella trasformazione delle materie prime, a partire dall’estrazione degli enzimi presenti nel malto per essere convertiti in zuccheri fermentescibili.

Asporto e consegne a domicilio, al momento, fanno da salvagente. Oltretutto, pizzerie, pub e ristoranti sono chiusi: i fusti dai birrifici, questi, non li stanno acquistando più. Eppure, il Decreto Ristori, non ne ha tenuto conto: in esso, il codice Ateco dei produttori di birra, non compare e gli aiuti per Christian e per tanti altri sui colleghi non esistono. «Abbiamo birra stoccata nei magazzini e alcune hanno scadenza a sei mesi. Rischiamo di buttar via un prodotto pur avendo pagato l’accisa allo Stato. Per non parlare dello spreco delle materie prime». Unionbirrai si è mossa, spiegando alle istituzioni la particolare situazione che stanno vivendo i birrifici artigianali. Intanto che il fatturato crolla, i mastri birrai attendono risposte.

Non crolla la passione però, e Christian, tra basse e alte fermentazioni - lager e ale - resiste.

C’è “Piuma”, la Blanche leggera; “Riverdale”, una Session Ipa; l’American Stout che, poiché scura, ha chiamato “Black eyes” - occhi neri; la Rye Ipa, nota come “Give me liberty”; poi c’è la Rauch bier, una bassa fermentazione affumicata, la preferita di Liana, la moglie di Christian, per questo chiamata “Lilly smoke”; infine, un’American Pale Ale, si chiama “Maya”, perché è buona come Maya, il pastore tedesco del mastro birraio.

Con questo elenco vi lasciamo, per ora. Torneremo da Christian e approfondiremo.


di Benedetta Luciani
redazione@viverefermo.it





Questo è un MESSAGGIO PUBBLICITARIO - ARTICOLO A PAGAMENTO pubblicato il 19-11-2020 alle 21:18 sul giornale del 21 novembre 2020 - 391 letture

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