Porto San Giorgio, il sogno di Francesca: aperto il primo asilo nido domiciliare della città

4' di lettura 03/11/2020 - Per lei un sogno che si realizza. Per i suoi genitori una casa, ormai troppo vuota, che si riempie di bimbi, quindi di gioia. Nasce, così, il primo asilo nido domiciliare di Porto San Giorgio, nel nord della città.

Oggi, per Francesca De Angelis, 39 anni, è il secondo giorno da operatrice di nido domiciliare. I bambini da accudire ed educare, al momento, sono tre ma, in casa, c’è posto per altri due. La loro età, in questo caso, può variare tra gli 1 e i 3 anni.

Un nido domiciliare. Com’ è nata l’idea?

«Sono un’educatrice. Mi sono laureata a Bologna. Ho vissuto lassù fino al 2013 e, tra le varie esperienze lavorative, ho avuto anche un’agenzia di baby sitter. A 33 anni sono tornata quaggiù e, avendo avuto difficoltà a inserirmi in un asilo nido, ho iniziato a fare la tata. Poi, quest’anno, ho chiesto ai miei genitori, che iniziavano a soffrire della sindrome del nido vuoto, di poter aprire un nido da loro. Entusiasti, hanno accettato. Io, infatti, vivo a Capodarco con il mio compagno, loro invece trascorrono le giornate nel rustico al piano di sotto. Talvolta li coinvolgerò anche, ad esempio mio padre per quanto riguarda le attività con i fiori».

La casa. Suppongo debba soddisfare dei requisiti particolari.

«In primo luogo l’idoneità dell’impianto elettrico, della messa a terra e dell’impianto di riscaldamento. Poi, la cucina deve essere separata da tutto resto, e io ho messo un cancelletto. In mezzo alla sala, dove giochiamo, c’è una colonna, e l’ho rivestita di protezioni. Bisogna anche creare uno spazio all’ingresso separato dal resto della casa, dove i bimbi tolgono le scarpe. C’è la stanza dedicata alla nanna, con materassini piccoli. In bagno ho chiuso con i fermi di sicurezza gli sportelli dove sono i prodotti per la pulizia, ho messo lo sgabellino per lavare le mani, c’è il vasino, il riduttore per il water, ci sono i gancetti personali per gli asciugamani e un carrellino diviso in scomparti con le cose per l’igiene personale di ciascuno».

Le attività. Come è scandita la giornata?

«La giornata è scandita come all’asilo nido. C’è un progetto educativo, ci sono i giochi. Verrà data importanza alla routine: così facendo, il bambino, inserito sì in un ambiente familiare, ma non il suo, si sente sicuro. Faremo sia attività di gruppo, organizzate da me, sia giochi liberi in modo tale che possano sviluppare la fantasia, la socialità, l’autonomia, la motricità e il senso artistico».

Cosa significa per lei lavorare in un appartamento?

«Lavoravo in appartamento anche quando facevo la tata, ma con un bimbo solo. In questo modo ho potuto recuperare ciò che avevo perso: il lavorare con il gruppo, seppur piccolo. Ѐ il mio sogno, da quando mi sono laureata. L’avrò realizzato tardi, ma l’ho realizzato».

Servizi educativi realizzati in contesti domestici: quanto sono diffusi e che tipo di coordinamento e confronto è presente con le altre realtà educative?

«La normativa è del 2012: la Regione aveva istituito con fondi europei un corso per diventare operatrice domiciliare ma, di fatto, finito quello, non sono stati più fatti. Per quanti, sprovvisti di titolo di studio, volessero aprire, oggi sarebbe complicato.

Nelle Marche, specie nell’entroterra, ce ne sono parecchi di asili nido domiciliari. A Porto Sant’Elpidio diversi; a Fermo c’è quello di Sara, con la quale mi sono confrontata, e anche il micronido di Sofia, che ha aperto insieme a me. Comunque, l’ambito sociale, in questo caso il XIX, organizza dei corsi di aggiornamento».

Un numero ristrettissimo di bambini, un ambiente domestico, una persona sola a prendersi cura di loro. Non potrebbe esserci il rischio che si crei un “sistema familiare”?

«No, non direi. Un attaccamento affettivo si sviluppa sempre, anche all’asilo nido, ma la mamma è sempre la mamma. Anche quando facevo la tata, nonostante il bambino stesse bene con me, non mi sono mai trovata nella situazione che, tornata la mamma, il piccolo piangeva perché andavo via. In fondo, svolgo un servizio simile a quello della tagesmütter, la c.d mamma di giorno dei paesi teutonici».

Tra le altre cose, dovrà occuparsi anche della preparazione dei pasti. Come concilierà questo suo compito quotidiano con la finalità educativa?

«In cucina mi darà una mano mia madre. Quando sarà ora di apparecchiare la tavola coinvolgerò i bimbi, e sarà anche questa una parte educativa. Ovviamente verranno aiutati, tutto sarà rapportato alla loro età. In questo c’è l’ispirazione montessoriana. Quindi aiuterò il bimbo a fare da solo, cercando di non sostituirmi a lui nelle cose che potrebbe fare da sé, così da non minarne l’autostima e le capacità».


di Benedetta Luciani
redazione@viverefermo.it







Questa è un'intervista pubblicata il 03-11-2020 alle 11:27 sul giornale del 04 novembre 2020 - 3739 letture

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