La Storia: Miti Utopie e Distopie

3' di lettura 30/10/2017 - Da sempre, l’uomo vorrebbe, nel suo intimo, modellare la storia, nel tentativo di difendere e migliorare il mondo.

Esiste un’età degli uomini, dopo quella degli dei e degli eroi, in un ciclo destinato a ripetersi, secondo la visione di Vico. Per Ovidio le età sono quattro: oro, argento, bronzo, ferro, in una evoluzione continua dell’ umanità. Esiodo racconta di cinque stirpi che si succedono, annientate di volta in volta e ricostruite, con caratteristiche diverse, dall’età dell’oro, dell’argento, del bronzo, degli eroi, fino all’ultima, discendente dalla precedente: “Avessi potuto io non vivere con la quinta stirpe di uomini, e fossi morto già prima oppure nato dopo, perché ora la stirpe è di ferro; né mai di giorno cesseranno da fatiche e affanni, né mai di notte, affranti; e aspre pene manderanno a loro gli dei. Però, anche per questi, ai mali si mischieranno dei beni”(Esiodo, Le opere e i giorni, vv. 174 -179). Nel mito di Esiodo non si intravvede una linea di progresso, neppure di decadenza: nell’età del ferro, al maggior sviluppo intellettuale, corrisponde una consapevolezza del bene e del male.
I miti, nella loro perentorietà, non ammettono discussioni, si sovrappongono, si contraddicono, fermamente proclamando la centralità dell’uomo. In Ovidio, la divinità punisce l’essere umano, menomandone la forma, lo premia, accrescendola, oppure, per rimediare ad una sua infelicità, lo trasforma in altro. Repentini passaggi tra mondo animale, vegetale e cose inanimate, in una contiguità tra tutte le forme dell’esistere. La mente, il modo di pensare (mens pristina, mens antiqua) rimane: Callisto, cambiata in orsa “ vedendo delle belve, si nasconde dimenticandosi cosa è ora, e pur essendo orsa rabbrividisce se scorge orsi sui monti”; Atteone, divenuto cervo, inseguito dai suoi cani, vorrebbe gridare: “Sono Atteone, non mi riconoscete? Sono il vostro padrone!”; la statua in cui è trasformata, per la sua invidia, Aglauro, “non è pietra bianca: la sua anima la rese scura”(Ovidio, Metamorfosi).
Si è tentato di cambiare la storia, di narrarne esiti diversi, accelerandone germi di sviluppo e prospettive tecniche: utopie, distopie, ucronie. È utopia lo stato ideale raccontato da Platone nella Repubblica, altre utopie sono presentate, fra gli altri, da Tommaso Moro, Campanella, Bacone: visioni tese a ipotizzare un mondo più giusto. A volte le utopie sono fondate su fantascientifiche soluzioni al vivere umano (tecnologie della riproduzione, eugenetica, controllo e condizionamento mentale). Nell’utopia/distopia Il mondo nuovo, la storia è cancellata, emozioni e sentimenti aboliti, in una organizzazione sociale all’apparenza perfetta. Il Selvaggio conosce le opere di Shakespeare e sfida questo mondo: “Ma io amo gli inconvenienti.” “ Noi no” disse il Governatore. “ Noi preferiamo fare le cose con ogni comodità.” “ Ma io non ne voglio di comodità. Io voglio Dio, voglio la poesia, voglio il pericolo reale, voglio la libertà, voglio la bontà. Voglio il peccato.” “Insomma,”disse Mustafà Mond “ lei reclama il diritto di essere infelice.” “Ebbene, sì,” disse il Selvaggio in tono di sfida “ io reclamo il diritto d’essere infelice”(Aldous Huxley, Il mondo nuovo).
Da caso a necessità, la vita, evolvendo, crea l’uomo, nel disagio e precarietà che l’esistere comporta, tuttavia senza privarlo di risorse intellettuali e morali, per affrontare il bene e il male, la storia. Nessuna fuga dalla realtà.
“Bisogna preferire l’inferno reale al paradiso immaginario” (Simone Weil, L’ ombra e la grazia).


di Maria Luisa Lasca
marialuisa.lasca@libero.it





Questo è un articolo pubblicato il 30-10-2017 alle 22:46 sul giornale del 31 ottobre 2017 - 938 letture

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